Inspirited by this wind of promise, my daydreams become more fervent and vivid. I try in vain to be persuaded that the pole is the seat of frost and desolation; it even presents itself to my imagination as the region of beauty and delight.
(Frankenstein)

giovedì 21 febbraio 2013

Mentirsi è troppo comodo

Nonostante ormai sappia bene quali sono i miei limiti, mi ostino a ignorarli. Dopo tre giorni di binge non riesco ad espellere più nulla, devo aspettare almeno altri 2-3 giorni per riuscire a vomitare nuovamente. Oggi, spinta da non so quale inquietudine interiore, mi sono nuovamente gettata sul cibo e, dopo aver compiuto la solita devastazione con gesti meccanici da marionetta e la mente altrove, mi sono apprestata a rendere il maltolto. "Come è entrato può benissimo uscire". Sbagliato, infatti oltre un certo limite il mio corpo non si fa piegare; nonostante abbia perseverato nell'ingrato compito di sollecitare il mio palato per circa un'ora, dopo qualche boccone non sono usciti altro che succhi gastrici. Come ciliegina sulla torta non ho potuto nemmeno mozzarmi il respiro e ridurmi i muscoli in una massa dolorante facendo ginnastica perchè ieri ho preso una storta alla caviglia cadendo dalle scale. Sconfitta, su tutti i fronti. Il non riuscire a martoriare l'involucro che mi contiene quel tanto da non essere troppo in pena, il cibo ormai parte di me, hanno fatto sì il mio umore si auto inumasse trascinando con sè tutto ciò che di buono ci potesse essere in questa giornata.
Sono troppo fallibile.
Le mura della mia stanza mi guardano sogghignando, da ogni angolo rimbombano gli echi delle mia inettitudine. In ogni abbuffata un pezzo della me stessa meritevole scompare irrimediabilmente, lasciandomi con un senso di estraneità nei confronti delle cose che mi circondano.

martedì 19 febbraio 2013

Harvest of sorrow

Non posso tornare indietro, tutto è cambiato e tentare di far finta che nulla sia accaduto equivalerebbe a riavvolgere il nastro di una cassetta danneggiata, con l'unico risultato di uno schermo nero e muto. Non posso tornare al liceo classico, questa è stata la verità che mi è balenata questa mattina nella mente appena sono uscita dal piumone. Quella scuola ormai non custodisce in sè nessuno dei significati che mi avevano portato a sceglierla, o perlomeno non sono più alla mia portata. Lingue antiche, letteratura, filosofia...tutte ottenebrate dalla depressione e dagli attacchi di bulimia. Continuo ad amarle, ma sento di non essere più in grado di riuscire a farle come vorrei. Inoltre persino la struttura stessa mi provoca un senso di pesantezza e angoscia insieme, potrei quasi definirla la mia personale casa degli Usher. Non posso comunque negare che provo pena al pensiero di abbandonare il luogo in cui ho fatto anche scoperte e studi appassionanti, spinta da una voglia irrefrenabile di donare a piene mani il nutrimento che negavo come un despota al mio corpo. Poi tutto ha perso la sua poesia; i corridoi fatiscenti, i bagni gelidi sono tornati ad essere bagni e corridoi in cui trascinavo un corpo tozzo pronto a rivoltarmisi contro da un momento all' altro.  A quel punto non ero altro che un fiume in piena che nel trascinarsi dietro fango e detriti diventava sempre più sporco.
Tutto questo deve cambiare il più presto possibile e forse l'unico modo è mutare il mio tracciato.
Ringrazio invece Julien per avermi passato il Sunshine Award, perciò, come da regolamento, ecco le domande a cui occorre rispondere, mentre più sotto ci sono i 12 blog a cui a mia volta passo il premio.

Colore preferito: nero, grigio e indaco
Animale preferito: gatto
Analcolico preferito: tè verde
Passione: metal e lettura
Numero preferito: 17
Facebook o Twitter? Facebook
Preferisci fare o ricevere regali? Farne
Modella/o preferiti: non ne ho, ma potrei dire che non mi dispiacciono quelle che fanno set in tema goth/dark/metal (purchè non siano grasse o volgari)
Giorno preferito: li detesto tutti
Fiore preferito: i sakura e le stelle alpine

Thana
Occhi Bassi
Aske
Umbriel
Alaska
Serena
Bee
Medusa
Giugiu-chan
Il peso dell'anima
Ef
Where I and you begin





domenica 17 febbraio 2013

Distruggi la tua tana e affronta ciò che ti sei lasciata alle spalle

Sto ripartendo a costruirmi una vita che non sia fittizia, non più fatta di giornate di scuola saltate per incontri con psichiatri, psicologi e dietiste, ma soprattutto per attacchi di panico nei confronti della realtà stessa e delle sfide che mi pone. Sylvia Plath descrive i momenti in cui si è sentita oppressa dai suoi obblighi e  dalla paura di fallire come "voglia di tornare strisciando nell'utero".  Penso che non avrebbe potuto trovare una metafora migliore; nascondersi in un luogo accogliente e riparato, aspettando che tutto ciò che presenta delle difficoltà si risolva automaticamente...il sogno utopico di molte persone, probabilmente. (Fra cui mi annovero anch'io, creatura amorfa e senza nerbo).
Tra meno di una settimana tornerò a scuola, il mio girone personale, un concentrato di ansie, terrori giustificati e non che ammorba continuamente i miei pensieri, pronto a esplodere e a disintegrarmi in una nube di cenere sporca. O perlomeno questo è ciò che penso io, dal momento che sono incapace di fare alcun pronostico che contenga almeno un pizzico di realismo. Teoricamente dovrei essere al terzo anno del liceo classico, ma dal 7 gennaio di quest'anno non ho rimesso piede in classe. Il motivo? Ho tentato di suicidarmi ingerendo cinque blister di xanax accompagnati da una dose massiccia di Cognac. Ho quindi passato buona parte di gennaio in ospedale scrivendo sul mio diario tutti i se e i ma che avrebbero potuto far sì che la situazione non si evolvesse fino a questo punto, sbocciando in un fiore dal profumo tossico che ho inalato dopo lunghi tentennamenti. 
Se devo essere obbligata a mantenere in vita la mia persona in questa discarica, che almeno sia un'esistenza non priva di dignità e realizzazione. Ritornerò a varcare il portone della mia scuola ogni mattina, non getterò il resto della fine del pentamestre alle ortiche, lo plasmerò come un blocco di argilla. Quando sarà tutto finito le mie mani saranno stanche e sporche, ma almeno l'opera sarà compiuta. Solo allora potrò riunirmi a Tuulen Tytar, il mio alter ego invincibile, la figura dai contorni indefiniti che sembra di veder apparire nel vorticare di fiocchi di neve di una tormenta. Leggera.

mercoledì 13 febbraio 2013

Whose sins am I now atoning for?

Continuo a sbattere contro le mie ansie (in gran parte immotivate) e le mie debolezze. Questa voleva essere la premessa dolente all' attacco bulimico di ieri, iniziato la mattina con la colazione e terminato con la cena. Ogni volta che riesco a fare un passo in avanti, finisco coll'aggrovigliarmi nuovamente nella ragnatela che si estende da un punto imprecisato del mio stomaco e si perde nel buio di bugie a gli altri e a me stessa, di sotterfugi penosi e corse contro il tempo. I fili nei quali mi invischio lasciano ogni volta segni dolorosi: grasso tremolante che sembra volermi ingoiare e, fino a qualche mese fa, anche pennellate rosse su gambe e pancia. Non sono al sicuro da me stessa, non sono mai sicura di quello che improvvisamente potrebbe iniziare a frullarmi in testa. Se per tutta la mattina riesco ad andare avanti a tè verde, scordandomi per qualche ora del baratro su cui cammino in continuazione come un equilibrista, devo sempre ricordarmi che potrei volermici gettare nemmeno dieci minuti dopo. Non guardare giù, non guardare giù.
L'ho fatto invece, per ben quattro volte, tre delle quali rese sotto forma di grumi irriconoscibili.
Mi ritrovo spesso a fantasticare di un incontro corpo a corpo con il parassita che si è installato in me e che, come un dio ingordo, pretende di essere omaggiato con offerte sempre più consistenti. Peccato che io però sia atea. Lo fronteggerei con in mano un coltello a serramanico e lo squarcerei, farei sbattere la sua testa sul selciato fino a farne schizzare fuori il suo orrido contenuto, stringerei il suo collo fino a far diventare cianotica la sua faccia. Rabbia repressa? Probabilmente si.
La maggior parte delle volte tento di occultare i miei problemi, per la semplice voglia di conservare davanti agli altri un briciolo di dignità ed evitare reazioni che possono spaziare da espressioni preoccupate, commenti disgustati o silenzio sprezzante. Ma non so minimamente difendermi quando qualcuno che mi conosce-nella fattispecie mia madre- mi attacca deliberatamente su temi che mi fanno stare male. Ieri sera in macchina mi ha rinfacciato la mia chiusura nel farmi aiutare da altre persone quando sono nel pieno della tempesta dell' attacco bulimico, incapace di governare la mia zattera ormai marcia di fronte all'incedere di onde di cibo. Mi ha descritta in una maniera talmente disgustosa che mi sono messa a piangere, sentendomi una larva viscida che si contorce per nascondersi. Mentre lei azzannava il mio orgoglio (ormai di dimensioni esigue), io non potevo fare altro che disegnare profili affilati sul parabrezza appannato. Sconfitta, su tutti i fronti. Infantile, pigra e sciocca, questo il responso.

Il titolo di questo post viene da "Song of the forlorn son" degli Insomnium, la canzone che stavo ascoltando durante la discussione con mia madre.

lunedì 11 febbraio 2013

Brutta copia

In questa mattina gelida, la cui piattezza è stata a tratti interrotta da mulinelli di neve che si è sciolta prima che potessi toccarla, mi sono messa a ripetere filosofia con le mani posate sul termosifone; lasciando che lo sguardo esplorasse la matassa di lana aggrovigliata color indaco che era il cielo in quel momento. Quando le nuvole hanno iniziato a spostarsi lasciando dietro di sè scheggie di luce madreperlacea mi ha colto-o per meglio dire-straziato la consapevolezza che la condizione di una nuvola è assai migliore della mia.
Come persona sono un disastro: i miei difetti vanno ad accumularsi sempre più numerosi, simili agli scontrini gettati via nel giorno lavorativo di un negozio. Più mi rendo conto di essere lontana da ciò che vorrei essere, più mi affanno in inutili tentativi di miglioramento come un patetico criceto che corre sulla sua ruota. Per anni sono stata spinta a coltivare interessi artistici, musicali e sportivi, da lì è poi nato il pot-pourri delle attività che pratico ma che ormai mi sembrano solo banali maschere da indossare a giorni prestabiliti. Il tempo passa e sono sicura di essere sempre più mediocre e scialba. Ciò che faccio non è degno di nota, ma mi intristisce rendermene conto.
Il demone dell'insoddisfazione e dell'astio mi sibila che di persone come me ne esistono a centinaia, ognuna con gli stessi gusti musicali e letterari. Ciò che ho collezzionato per anni selezionandolo con cura altri lo avevano di già nei loro iPod e negli scaffali delle loro librerie. "Persino i tuoi sentimenti sono identici a quelli di molti altri, non riesci a distinguerti nè quando piangi nè quando ridi".
Probabilmente in questo momento nella stanza dei cloni ambiziosi vengono spalate come zolle di terra altre ragazze della mia età con i medesimi obbiettivi e le medesime manìe.
Non mi resta che essere il nulla, lasciarmi annegare nelle lenzuola per non uscirne mai più, rinunciare a pensare e a sperare per non essere usata come un pezzo di ricambio di cattiva qualità. Oppure diventare una nuvola e lasciarmi trasportare via dal vento.

sabato 9 febbraio 2013

The train is gone away

Esattamente nove mesi fa ho rinunciato a una persona a cui volevo estremamente bene.
 Vi ho rinunciato perchè ora i nostri rapporti sono di semplice amicizia, ma avrebbero potuto prendere una piega ben diversa. L'euforia di stare in sua presenza era paragonabile all'emozione che si prova nel vedere il proprio treno che si avvicina, sicuri che grazie ad esso si potranno raggiungere luoghi sconosciuti e meravigliosi. Una porta per una nuova realtà che fino a quel momento si è solo immaginata.
Presto il treno giungerà al binario, sarà possibile salire su di esso e camminare per i suoi angusti corridoi. Dentro di me in quel momento si è risvegliato lo spirito della solitudine, quella creatura che con i suoi artigli mi ha tormentato ma anche preservato, spingendomi a digiunare e a valicare gli ingannevoli monti dei miei limiti. Una parte di me a cui non potrei mai rinunciare ma che mi ha fatto incespicare, proprio mentre il mio treno stava chiudendo le porte. 
Così è partito e io sono rimasta sulla banchina, ancora annichilita, con l'unica compagnia del temperamento glaciale con cui mi faccio sempre scudo. Per non farmi turbare da calde onde che minacciavano di sottrarmi al personaggio che ho sempre creduto di essere, ho annegato i miei desideri nel pozzo senza fondo della rinuncia. Da allora il mio pensiero più ricorrente è stato: "Ritornerò a bastarmi da sola", anche se conoscevo la mia incapacità di mentire perfino a me stessa. Continuo a pagare per la mia scelta, perfino di notte brandelli di rimpianti continuano a insozzare il mio sonno, facendomi svegliare circondata da echi. Amare mi ha permesso di vedere la realtà a tre dimensioni, ora sono ripiombata nella mia tana congelata, dove tutto è bidimensionale e l'unica persona sui cui posso riversare il mio veleno sono io.
In compenso l'estirpare i miei ripensamenti e le mie delusioni mi impedisce anche di mangiare, agisco come se dentro di me non dovesse restare più nulla, nient'altro che una cavità asettica e levigata. 

venerdì 8 febbraio 2013

I'm not strong, weak is my mind, a new beginning will define

Il titolo dice già praticamente tutto. Una sintesi pressocchè perfetta della mia caduta negli inferi della bulimia e la perdita di quel controllo che avevo coltivato gelosamente come una pianta rara che avrebbe un giorno dato fiori meravigliosi, simili a una delicata filigrana.
Niente di tutto questo è accaduto; infatti di fronte all'ipotesi di un ricovero la codardìa mi ha fatto strappare senza pietà ciò che era sbocciato. Ho sparso quindi sale sulle macerie dei miei obbiettivi, un monito a significare che avei perpetrato in quegli atti disgustosi nei confronti di me stessa.
Più di un anno è passato da quando ho ormai realizzato che la mia situazione si era completamente capovolta in peggio e come Alice nello specchio non ho fatto altro che vagare in un mondo assurdo e inospitale...ma che ho creato io stessa con le mie mani, con quelle mani che ogni volta portavano cibo all' insaziabile buco nero che è la bocca.
Una ad una ho visto allontanarsi tutte le piccole soddisfazioni e le sicurezze che mi accompagnavano quotidianamente, come amici che, offesi e traditi, si voltano senza più tornare indietro.  In compenso un carapace di lardo mi si è fissato addosso, appesantendo persino il mio sguardo che non più ha avuto il coraggio di alzarsi oltre la punta dei piedi. Mi sono snaturata con violenza fino ad avere le sembianze di un panzer: massiccio, cupo e sinonimo di orrori.
Il fatto è che non sono un panzer, non è questa la verità, lo sento.
Tornerò lieve come la brezza ghiacciata in Inverno.
Io sono Tuulen Tytar, la figlia del vento.