Inspirited by this wind of promise, my daydreams become more fervent and vivid. I try in vain to be persuaded that the pole is the seat of frost and desolation; it even presents itself to my imagination as the region of beauty and delight.
(Frankenstein)

mercoledì 13 febbraio 2013

Whose sins am I now atoning for?

Continuo a sbattere contro le mie ansie (in gran parte immotivate) e le mie debolezze. Questa voleva essere la premessa dolente all' attacco bulimico di ieri, iniziato la mattina con la colazione e terminato con la cena. Ogni volta che riesco a fare un passo in avanti, finisco coll'aggrovigliarmi nuovamente nella ragnatela che si estende da un punto imprecisato del mio stomaco e si perde nel buio di bugie a gli altri e a me stessa, di sotterfugi penosi e corse contro il tempo. I fili nei quali mi invischio lasciano ogni volta segni dolorosi: grasso tremolante che sembra volermi ingoiare e, fino a qualche mese fa, anche pennellate rosse su gambe e pancia. Non sono al sicuro da me stessa, non sono mai sicura di quello che improvvisamente potrebbe iniziare a frullarmi in testa. Se per tutta la mattina riesco ad andare avanti a tè verde, scordandomi per qualche ora del baratro su cui cammino in continuazione come un equilibrista, devo sempre ricordarmi che potrei volermici gettare nemmeno dieci minuti dopo. Non guardare giù, non guardare giù.
L'ho fatto invece, per ben quattro volte, tre delle quali rese sotto forma di grumi irriconoscibili.
Mi ritrovo spesso a fantasticare di un incontro corpo a corpo con il parassita che si è installato in me e che, come un dio ingordo, pretende di essere omaggiato con offerte sempre più consistenti. Peccato che io però sia atea. Lo fronteggerei con in mano un coltello a serramanico e lo squarcerei, farei sbattere la sua testa sul selciato fino a farne schizzare fuori il suo orrido contenuto, stringerei il suo collo fino a far diventare cianotica la sua faccia. Rabbia repressa? Probabilmente si.
La maggior parte delle volte tento di occultare i miei problemi, per la semplice voglia di conservare davanti agli altri un briciolo di dignità ed evitare reazioni che possono spaziare da espressioni preoccupate, commenti disgustati o silenzio sprezzante. Ma non so minimamente difendermi quando qualcuno che mi conosce-nella fattispecie mia madre- mi attacca deliberatamente su temi che mi fanno stare male. Ieri sera in macchina mi ha rinfacciato la mia chiusura nel farmi aiutare da altre persone quando sono nel pieno della tempesta dell' attacco bulimico, incapace di governare la mia zattera ormai marcia di fronte all'incedere di onde di cibo. Mi ha descritta in una maniera talmente disgustosa che mi sono messa a piangere, sentendomi una larva viscida che si contorce per nascondersi. Mentre lei azzannava il mio orgoglio (ormai di dimensioni esigue), io non potevo fare altro che disegnare profili affilati sul parabrezza appannato. Sconfitta, su tutti i fronti. Infantile, pigra e sciocca, questo il responso.

Il titolo di questo post viene da "Song of the forlorn son" degli Insomnium, la canzone che stavo ascoltando durante la discussione con mia madre.

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